La vita (e la denuncia) di Cristiana

lettera inviata al cristicchiblog da Cristiana G.:

“Vi scrivo per riuscire a testimoniarvi la vicenda che ho vissuto e tuttora vivo da 3 anni. E’ una storia come tante altre che gia’ conoscete purtroppo, troppo spesso coperte dal silenzio. E’ una storia di malattia, diritti violati, malasanita’, ma soprattutto isolamento, indifferenza e pregiudizio sociale.

Ho 34 anni, soffro da 20 anni di patologia mentale cronica (DOC), vivo a Torino. Sono da sempre inabile al lavoro per questo motivo, ma nonostante i limiti imposti dalla malattia ho sempre cercato di condurre un’esistenza il piu’ possibile”normale”, in termini relazionali e pratici (compresi gli studi che ho portato avanti sino all’Universita’ e ad un Master successivo e da anni una vita domestica autonoma). Purtroppo 3 anni fa ha avuto inizio per me una vicenda di dissidi condominiali con una famiglia di vicini, che ha ben presto trasceso la natura banale e molto diffusa di questi conflitti.

Da allora sono in corso vessazioni continue da parte di queste persone, portate avanti con l’alibi della mia malattia (di cui erano consci per mia stessa informazione e dei medici) e proprio in virtu’ del pregiudizio sociale, senza che io potessi disporre di alcuno strumento di difesa, dal momento che ero gia’ stata privata della credibilita’. Tali vessazioni si manifestano con una vera e propria “guerra del rumore” che ha reso intollerabile e compromessa la mia intera esistenza entro le mure domestiche, dalle quali pero’ non ho potuto allontanarmi nemmeno temporaneamente. Infatti nessuno mi offre ospitalita’ per via della malattia e non ho potuto cercare una nuova abitazione per ragioni in parte economiche e in parte di vincoli imposti dai miei familiari e non desidero vivere all’interno di una comunita’.

L’unica alternativa valida e’ stata, nel momento peggiore e per qualche mese, rimanere per strada soprattutto nelle ore notturne. Inoltre l’atteggiamento dei vicini e’ stato piu’ volte denigratorio e diffamante nei miei confronti, inducendo in me uno stato di soggezione psicologica non facile da superare, arrivando infine a minacce fisiche e ad una aggressione fisica purtroppo in assenza di testimoni, che ho avuto timore e impossibilita’ a denunciare. Di quella stessa aggressione, per falsa accusa, mi trovo oggi imputata io stessa e in attesa di giudizio.

E lo stress per la vicenda legale, dall’esito peraltro incerto, va sommarsi al resto. Ovviamente ho cercato di tutelarmi fin dall’inizio rivolgendomi a tutte le istuzioni giuridiche accessibili (carabinieri, polizia, ufficio del Procuratore), da cui il problema e’ stato ritenuto “non di competenza” ed ignorato; ho allora bussato a tutte le porte possibili in termini di assistenza sociale, ad alcune associazioni di specifica tutela dei diritti degli ammalati psichici, le quali sembrano aver messo in atto una drammatico gioco di “scaricabarile” ritenendo ognuna, per motivazioni varie, l’argomento non di loro competenza e rinviandomi sempre ad altre istituzioni in un circolo totalmente sterile e scoraggiante.

Sottolineo che tutto questo avveniva, gia’ nel 2005, in uno stato di degrado fisico e psicologico avanzato e con grandissimo sforzo, dal momento che non riuscivo piu’ uscire di casa e l‘unico canale era il telefono o le emails. Una situazione che era dunque sotto gli occhi di molti, non solo parenti, amici, medici curanti, ma specifiche istituzioni. Eppure nell’indifferenza o nella dichiarata impossibilita’ materiale di porvi fine.

Ma il peggio doveva ancora venire.

Mi ero da ultimo rivolta ad un Associazione nazionale che nei propri intenti dichiarati comprendeva la lotta a qualsiasi forma di abuso o vessazione perpetrato ai danni di malati psichici. Ho esposto loro il timore e la consapevolezza che a breve sarebbe stata la psichiatria (ero in cura da qualche anno presso il CSM locale) ad abusare del proprio potere per legittimare e coprire l’operato dei miei vicini, cosa che purtroppo si e’ pesantemente verificata.

In quella occasione ero stata messa in contatto con un loro operatore sedicente avvocato – del quale non e’ stato possibile accertare l’identita’, ne’ piu’ rintracciarlo – il quale dapprima colpito dalla vicenda e disposto a intervenire rendendola pubblica, non appena saputo che le mie condizioni economiche non potevano coprire una spesa legale, ha improvvisamente mutato atteggiamento e ha dubitato della veridicita’ di quanto raccontavo, ribadendo che quanto esulava da abusi operati in campo e sedi strettamente psichiatrici esulava dalla loro competenza.

E questo a dispetto di cio’ che si leggeva nella dichiarazione di intenti dell’Associazione.
La risposta definitiva e’ stata che “la mia storia poteva essere buona al massimo per il Maurizio Costanzo Show“. Cosa purtroppo infondata, visto che la Redazione del MCS ha liquidato la vicenda come “troppo delicata”!

La delusione e la consapevolezza di essere stata privata della credibilita’ persino presso gli enti che si proponevano il rispetto dei miei specifici diritti sono stati per me una condanna definitiva e dopo poco giorni ho tentato il suicidio, con conseguente Trattamento Sanitario Obbligatorio presso l’SPDC di un ospedale torinese.

Nonostante quel TSO sia stato perfettamente legittimo e doveroso e abbia salvato la mia vita, esso ha dato il via, come temevo, a una spirale senza via d’uscita: ha infatti consentito ai miei vicini di ricorrere successivamente piu’ volte al potere del Primario del reparto con dichiarazioni diffamatorie; ed abusandone questi con la richiesta di altri 2 TSO in due anni, oggettivamente privi dei fondamentali requisiti di legge (pericolosita’ per se’ e per gli altri), come tante persone e gli stessi operatori del reparto hanno potuto constatare.

Al di la’ della privazione della liberta’ questo ha significato subire atteggiamenti e manifestazioni verbali molto pesanti, tese a intimorirmi e squalificare la mia persona da ogni punto di vista , stavolta da parte del Primario , anche questo sotto gli occhi degli stessi dipendenti operatori.

Chi conosce l’argomento sa bene cosa un TSO (legittimo o non) determina dopo ogni dimissione: accertamenti santitari obbligatori, violazioni non legali del mio domicilio, l’imposizione anche dopo il ricovero di una terapia che ha messo a rischio la mia salute fisica , interotta per il coraggioso intervento di un medico, mio padre, che oggi finalmente e’ l’unico a lottare al mio fianco.

Questo significa aver vissuto in uno stato di terrore e allarme protratto all’interno delle mura domestiche, consapevole che qualunque azione diffamatoria dei miei vicini o tentativo mio di denuncia avrebbe per me significato una nuova reclusione: i medici stessi hanno non troppo velatamente veicolato il concetto ad ogni dimissione. Un terrore che continua e forse mi accompagnera’ per sempre, nonostante l’azione di tutela pratica di mio padre e finalmente un azione legale di diffida dei vicini, intrapresa in questi giorni. A tutt’ oggi infatti esiste il rischio continuo e imprevisto che possano riverificarsi interventi del 118 o 113 e violazioni di domicilio per richiesta dei vicini senza motivazioni plausibili.

Questo soprattutto perche’ il danno subito, oltre che avermi moralmente annientata, privata della dignita’ e di qualunque liberta’, e’ stato anche di natura biologica, ossia ha determinato l’insorgere di nuovi gravi sintomi (non piu’ trattabili e probabilmente irreversibili). Ed essi mi espongono ovviamente ancor piu’ all’operato psichiatrico…anche in termini impropri e non adeguati.

Concludendo la mia situazione attuale comporta un senso di diffidenza generale verso qualsiasi persona o istituzione e la difficolta’ di riuscire ancora a intravvedere un futuro per me almeno qualitativamente accettabile.

E sul piano pratico le seguenti limitazioni:
– vivere quasi sempre reclusa in casa e perdita di tutte le relazioni sociali prima esistenti
– impossibilita’ da 3 anni di lavarmi e accedere senza paura ai miei servizi igienici (per il condizionamento insorto dalle ritorsioni rumorose)
– impossibilita’ di gestire liberamente spazi e tempi all’interno della privata abitazione (come sopra)
– privazione del sonno, alterazione ritmi sonno/veglia
– impossibilita’ conseguente di uscire a procurarmi il cibo, dunque dipendenza assoluta da chi me lo recapita e alimentazione non adeguata all’equilibrio fisico
(riuscendo talvolta ad uscire, cio’ significa comunque accettare la pesante umiliazione e vergogna per le mie condizioni igieniche)

Confesso di temere per la mia vita, perche’ sento che presto o tardi le mie condizioni arriveranno ad essere psicologicamente o fisicamente non piu’ tollerabili e non ho piu’ la possibilita’ neppure di ricorrere a cure adegute, visto sarei costretta a tornare, per ragioni di competenza territoriale, nello stesso ospedale e a contatto con la stessa persona che ha causato in buona parte il mio danno.

Dilemma che penso possa esemplificare bene fino a che punto puo’ spingersi la violazione dei diritti della persona, costituzionalmente garantiti (in linea teorica, ma come ho imparato a mie spese, non per tutti!) Tuttavia sono fermamente determinata a rimanere in vita e soprattutto a dedicare tutte le forze che restano a rendere pubblica la mia storia, almeno perche’ possa essere minimamente utile a una presa di coscienza collettiva e alla tutela di altre persone che vivono un disagio psichico e possono trovarsi ad affrontare identiche vicende (potrei fare il nome di almeno una, ricoverata con la forza come me nello stesso ospedale, per gli identici motivi).

Primo Levi scriveva “Ricordate che questo e’ stato“, io penso ci sia ancora tanto bisogno di gridare “Ricordatevi che questo e'”, ogni giorno, in ogni luogo, comprese le nostre “civili” societa’ e a distanza di 40 anni dalla chiusura dei manicomi.

Se certo la mia battaglia – come quella di molti di voi – e’ stata e sara’ lunga, sul piano legale e prima del recupero e della riaffermazione di quanto mi spetta per diritto come PERSONA, il passo piu’ grande e’ stato per me decidere di togliere quel “bavaglio” che da piu’parti e per troppo tempo mi e’ stato imposto.

Oggi compio 34 anni. A volte ho creduto che non ci sarei arrivata. Questa lettera e’ stato il regalo che ho scelto di farmi.

Ringraziandovi per l’attenzione, spero in un vostro cenno di riscontro, perche’ il sostegno morale e’ cio’ di cui piu’ ho bisogno, nella quasi totale solitudine che oggi vivo.

Cristiana G.
granitablu@yahoo.it

  • Ciao Cristiana. Spero ke prima o poi la tua situazione si sistemi, e ke riuscirai a vivere serena e senza la paura di vivere normalmente. Ti do tutto il mio appoggio e sostegno nella tua lotta e ti dico Forza non lascirti abbattere da tutto quello skifo sii forte sempre, e non smettere mai di lottare x vivere!
    Un BACIO! E in Bocca al lupo x il tuo futuro!

  • Ciao Cristina, non capisco come mai la legge non ti aiuta, i servizi sociali dove sono?
    Dici che non puoi lavorare come mai? Mi rispondi se puoi anche in privato.
    Non capisco come ci si puoi rimanere indifferenti.
    Un forte abbraccio
    Meg

  • [Per tutti: gli aggiornamenti (positivi) sono nei commenti al post: “Dalla sofferenza al riscatto“]

  • Come tutti sono indignata, anche se ormai l’indignazione per molte cose che accodono ha fatto la crosta sulla mia pelle…
    Ho il corpo pieno di croste, di pus….
    Cercherò di far conoscere la Tua storia, cercherò di fare ciò che posso e sappi che Ti sono vicina….

    Mutty

  • mi dispiace tanto Cris.. a 34 anni si dovrebbe avere il mondo ai piedi e non dovrebbe essere così, come tu dici.
    Hai trovato dei vicini che sono vermi infami ed è impensabile che nessuno ti porga una mano.. ti dia un aiuto..
    Ti abbraccio forte e cerco di amplificare la tua voce come posso..
    Alidada

  • Cara Cristiana, mi chiamo Anna, ho appena finito di leggere la tua storia. Io sono considerata una persona “normale”, ma sto vivendo da oltre trent’anni una vicenda di sopraffazione, umiliazione che e’ simile alla tua. Sono nata in una famiglia nella quale i genitori, non consideravano i figli una richhezza ed una benedizione, ma una merce di scambio da uare a proprio piacimento. A sei anni ho smesso di essere bambina, perche’ e’ arrivato il primo fratellino ed io dovevo occuparmi delle pulizie di casa, fare la spesa ecc. Ad otto anni ho smesso di giocare con le bambole ed ho iniziato a giocare con i pannolini ed i biberon del secondo fratellino di tre mesi, al quale dovevo badare, oltre alle altre faccende di casa. Ad undici anni L’amico di mia madre ha iniziato a molestarmi, io ho avuto un crollo psicologico, ho smesso di andare a scuola per tre anni ho visto in faccia l’inferno. Con mia madre che la parola piu’ gentile che utilizzava era bastarda. Poi ho visto che rimanendo cosi’ sarei morta mi sono riscossa, ho studiato, mi sono data da fare nel lavoro. Mia madre anziche’ essere contenta, perche’ ce l’avevo fatta, ha inizato a perseguitarmi dicendo che era merito Suo se ce l’avevo fatta che le dovevo del riconoscimento: cioe’ soldi. Per anni ho pagato, perche’ ero realmente convinta di dovere qualcosa a mia madre. Quando la cortina di fumo nella quale avevo tutta la sofferenza, le umiliazioni e le angosce patite, si e’ rotta, un fiume in piena mi ha travolta, tutto il dolore patito e’ tornato, come e piu’ di prima. Allora ho smesso di pagare quella donna, e Lei non ha fatto altro che farmi causa, dichiarandosi malata. Il Giudice benche’ abbia nelle mani una perizia che attesti che mia madre e’ sana e nonostante risulti tutti i soldi che le abbiamo dato. Ha condannato me e mio fratello a pagarle gli alimenti a partire dal 2002, inoltre ci sono le spese legali. Nessuno mi ha creduto, hanno creduto alle bugie di mia madre. Ora cosa faccio mi arrendo definitivamente a questa vita, lo stato non mi ha protetto quando ero bambina, e non mi ha dato la possibilita’ di difendermi ora che sono adulta. Non so se questo ti puo’ essere di conforto, ma non mollare se ce la faccio io ad andare avanti, dopo oltre trent’anni di sofferenze, lo puoi fare anche tu, continua a cercare aiuto. Ciao Anna, fammi sapere.

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