Magazzino 18 – L’esodo degli italiani cancellati dalla storia

Il 22 ottobre 2013 Simone debutta con il nuovo spettacolo Magazzino 18, al Teatro Politeama Rossetti di Trieste in replica fino a domenica 27: uno spettacolo al quale ha lavorato duramente e a lungo, facendo ricerche per più di due anni su un tema, quello dell’esodo dell’immediato dopoguerra, che ancora risulta scomodo e scottante e ciò nonostante sconosciuto ai più.
Come una sorta di chiosa ad un’ipotetica trilogia, dopo Li Romani In Russia e Mio Nonno È Morto In Guerra, Magazzino 18 va a completare un percorso sulla Memoria da salvaguardare, tramandare ed in molti casi riscoprire, dando ancora una volta voce a chi non ha voce.
Scritto insieme a Ian Bernas, autore del libro Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani, per la regia di Antonio Calenda, lo spettacolo includerà canzoni e musiche inedite di Simone, per l’occasione eseguite dalla Mitteleuropa Orchestra del Friuli Venezia Giulia diretta dal Maestro Valter Silviotti, ed è prodotto da Promo Music e dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.

Il racconto dell’ esodo biblico degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, parte da un luogo “simbolo”: il Magazzino 18 del Porto Vecchio di Trieste.
Furono quasi 350 mila le persone che all’ indomani del trattato di pace del 1947, abbandonati i propri beni e imballata la loro vita, preferirono avventurarsi verso un’Italia disastrata, affamata e diffidente, piuttosto che restare estranei nella Jugoslavia di Tito, una terra di violenze e soprusi che non riconoscevano più. Una storia ancora poco conosciuta, volutamente rimossa, forse perché scomoda. Il protagonista, ideale “Virgilio” per gli spettatori, è un umile archivista romano, spaesato e ignorante, che viene inviato dal Ministero degli Interni a Trieste, per fare l’inventario di questa enorme catasta di masserizie abbandonate e stipate alla rinfusa. Oggetti marchiati da nomi e numeri, che raccontano la tragedia di un popolo sradicato dalla propria terra. Sedie, armadi, specchiere, cassapanche, attrezzi da lavoro, libri, ritratti, quaderni di scuola, fotografie in bianco e nero. Oggetti che sembrano essere in attesa di un fantasma che li venga a prendere, perché capaci di evocare direttamente la persona cui sono appartenuti. Il giovane protagonista ne riporta alla luce la vita che vi si nasconde, scoprendone gradualmente l’esistenza, narrando in maniera cruda e schietta una delle vicende meno raccontate della storia d’Italia. Cambiando registri vocali, costumi e atmosfere musicali, Simone Cristicchi si trasforma dando vita ad ogni singolo personaggio: l’esule da Pola, il bambino di un campo profughi, la donna “rimasta” che scelse di non partire, il monfalconese che decide di andare in Jugoslavia, il prigioniero del lager comunista di Goli Otok. In una sorta di nuovo genere teatrale, il “Musical-Civile”, le testimonianze reali e le canzoni inedite sul tema, colmano il silenzio di una pagina strappata dai libri di Storia.

“E pensare che per cinque anni, nel tragitto che l’autobus 765 faceva per portarmi al Liceo, c’era una fermata. Vicino a quella fermata c’era un cartello, una specie di targa con su scritto “Quartiere Giuliano Dalmata”. Ogni volta che ci passavo davanti, leggevo quel cartello, e nella mia ignoranza mi chiedevo: “Ma questo signor Giuliano Dalmata, chi era?””

  • Io purtroppo non potro’ esserci ma i “Zaratini” te li mando tutti!!!! Love!!!

  • Lo sciovinismo e il nazionalismo esasperante della comunità slovena di Trieste si son fatti vivi pretendendo di inserire nel testo dell’opera di Cristicchi, “Magazzino 18” in cartellone al Teatro Rossetti,alcuni richiami al periodo fascista insieme alla lettura in lingua slovena di un monologo da parte di una bambina. Il “suggerimento” per tale integrazione sarebbe stato avanzato da boris pahor,centenario scrittore sloveno abitante a Trieste, noto per spirito nazionalistico e antiitalianità, trovando benevola sponda nel presidente del teatro stabile, Milos Budin, anch’egli appartenente alla minoranza slovena. Ne è scaturita un’accesa querelle che ha coinvolto primariamente le associazioni degli esuli suscitando in città sentita indignazione. Sarà interessante vedere come finirà, ma certamente non è stato un episodio che giova al continuo, sbandierato richiamo alla distensione nei rapporti fra italiani e sloveni.E’ stata piuttosto la conferma che sulla tragedia dell’esodo e delle foibe, evidentemente tuttora bruciante, è proprio la parte slovena che non vuole sentire ragione, pretendendo di leggerla storicamente esclusivamente come reazione a vent’anni di fascismo. a

  • io ho avuto la famiglia spaccata cugini rimasti e i miei nonni e mio padre esodati costretti a partire in pochi giorni dopo una “visita” da parte del potere costituito che appoggiando una pistola sul tavolo della cucina hanno consigliato ai miei nonni di andare via donando terre e osteria al neo costituito partito ovviamente SPINTANEAMENTE il mio rammarico e che i miei nonni hanno sperato sempre di poter tornare nella loro terra dovevano invece partire e andare dall’altra parte del mondo è stato uno stillicidio. E lasciamo stare la convivenza con croati e sloveni in quelle terre c’è stata una guerra nel ’92.

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