Tu cosa ne dici? – la recensione di Laura De Stradis

Laura “Letterata” ci ha inviato la recensione che ha pubblicato su Pericolo Di Cultura (dove trova spazio anche un articolo sanremese su La Prima Volta Che Sono Morto).

Cristicchi nel suo “Album di famiglia” canta un’Italia di amori, di storia e di cultura.

Sorpresa dall’esibizione di Simone Cristicchi a Sanremo – che mi ha conquistato con la sua “La prima volta (che sono morto) ” , un modo geniale di esorcizzare la morte e inneggiare alla vita – ho cercato di ascoltare tutto quello avevo perso del capelluto cantautore romano.

Durante l’ascolto dei suoi album (dal 2005 ne ha pubblicati ben 5) mi sono pentita amaramente di non averlo seguito già dopo “Ti regalerò una rosa”, di cui avevo apprezzato l’incantevole ironia su un argomento forte e spesso tabù come la malattia mentale.

Cristicchi ha percorso molta strada dal suo tormentone “Vorrei cantare come Biagio Antonacci” e, per fortuna, non riesce a “riempire i palasport” come Biagio ma i cuori degli appassionati – come me – del cantautorato italiano, perché è “bravo a scrivere canzoni” e musicalmente sperimenta gioiosamente i generi più diversi.

Così, sono arrivata alla sua ultima fatica “Album di famiglia”, uscito il 14 febbraio, contenente le due canzoni presentate in gare e altre inedite (la colorata copertina è opera del suo figlioletto).

Un rocambolesco viaggio di tredici tappe che percorre storie d’amore e di vita vissuta attraverso musiche dolci, melodie antiche e suoni festosi. Sono le storie (grazie ai testi) le protagoniste indiscusse dell’album che coinvolgono l’intimità dell’ascoltatore, perché immedesimarsi è facile ed emozionarsi inevitabile.

Meravigliosi inni all’amore come “Mi manchi”, “Canzone piccola”, “La cosa più bella del mondo”, che rievocano i grandi maestri cantautori (vedi Fabio Concato e Gino Paoli) e raccontano amori semplici, quelli che diventano i più grandi. L’amore è sopravvivenza, speranza, positività, quotidianità: il sorriso dell’amato/a dovrebbe essere l’obiettivo di ogni coppia perché “è un paesaggio stupendo, dove mi piace perdermi” e il sentimento va rinnovato sempre per “ innamorarmi ogni giorno di te, sceglierti ancora una volta”, che meraviglia.

Dall’amore si passa alla storia, alla memoria, al nostro passato d’italiani. “Cigarettes”, con la speciale partecipazione di Nino Frassica, riporta alla luce una delle più grandi rimozioni della storia italiana: la cattiva reputazione dell’italiano emigrato oltreoceano, non sempre spiegata dal razzismo, ma spesso sensata. Lo dimostra un documento ufficiale del Congresso americano del 1912, testo di questa canzone che comincia “Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane”: ebbene sì, eravamo noi, diffidate della vostra sensazione superiorità nei confronti dei nuovi immigrati. La storia dell’italiano lavoratore, invece, scorre nelle dolci noti di “Senza notte né giorno”, in un limbo senza tempo, senza luce, scandito soltanto dalla fatica, dal lavoro dal sacrificio, una vita trascorsa in una miniera, finita in una miniera (d’obbligo il richiamo ai disastri di Monongah, Dowson e Marcinelle, in cui persero la vita centinaia di minatori italiani). E si parla ancora di passato dimenticato, questa volta dell’esodo giuliano- dalmato, in “Magazzino18”, che riprende il nome del magazzino di Trieste che conserva ancora gli oggetti abbandonati da italiani costretti all’esilio dalla guerra.

Sempre l’Italia è la protagonista de “Le Sol, i mar”che Cristicchi canta assieme al concittadino e mitico cantautore Alessandro Mannarino. Una canzone ricca di contraddizioni proprio come la realtà del nostro paese: potrebbe considerarsi un ipnotico invito dai ritmi arabeggianti a visitare il nostro paese, che nonostante tutto rimane il Belpaese; oppure un’amara satira a una nazione che, seppur abbia tutte le carte in regola per detenere i migliori primati, continua a meritarsi i cliché che da sempre le attribuiscono e “si nun ci credi, vieni a vede”.

E poi: si parla nuovamente di malattia mentale e del concetto – opinabile – di normalità attraverso “I matti di Roma” con una marcia di allegre fanfare; ne “Il Sipario” il protagonista è lo spettacolo – quello di un tempo – che ora agonizza nel nostro mondo digitalizzato; un altro inno alla vita, dalla romantica melodia, in “Scippato”, nonostante un’infanzia difficile e una famiglia negata; in “Testamento” Simone recita una poesia di Mauro Maurè, un poeta che amava comporre versi in dialetto romanesco (occhio, anzi orecchio, alla ghost track dal suono gregoriano).

“Album di famiglia” vi racconta anche la storia di “Laura”, che conclude volutamente di questo post perché racconta il successo e il declino della donna che ha suggerito il mio nome. Per molto tempo avrei preferito che mio padre si fosse ispirato a Laura del Petrarca, anziché a Laura Antonelli. Invece, grazie a questa canzone, ho trovato tutto l’incanto di una donna che ha conquistato il cuore (e i sensi) di uomini di tutte l’età, lasciando un marchio indelebile nel cinema italiano. Una donna straordinaria che, purtroppo, non ha potuto vivere un lieto fine: “Laura pazza, Laura ingenua, Laura povera drogata, Laura fragile, sensibile, alla gogna trascinata”, uniche note rock dell’intero album.

Che dire? Non perdetevi questo compendio di cultura italiana, in musica e poesia.

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