Stasera c’è Beethoven, andiamo a divertirci!

controcorrente

Potrei ora tirar fuori le parole “c’era una volta…”, perché a raccontarlo sembra proprio una favola. Ma è vero: c’era un tempo in cui la musica classica non era “classica”, un’epoca in cui l’idea stessa di “musica classica” non esisteva.

Mi spiego meglio: all’epoca di Bach, di Mozart e anche in quella di Beethoven, l’idea che una musica potesse essere “classica” nel senso di incarnare significati tanto elevati e imperituri da essere destinati al rispetto e alla deferenza da parte dei futuri secoli, era in formazione, ma non si era ancora affermata. L’idea che la musica dovesse sopravvivere al luogo e alle occasioni che l’avevano vista nascere, non faceva parte della cultura del tempo. La musica, in un certo senso, veniva quindi presa un po’ meno sul serio (anche se era poi più importante nella vita di molte persone).

Per esempio: nel XVIIImo (e fino agli inizi del XIXmo) la parola “sinfonia” (come la parola “romanzo”, genere letterario nato più o meno nello stesso periodo) era sinonimo di divertimento. Forse nella Vienna di primo Ottocento sono avvenute conversazioni di questo genere: “Sai che domani sera il Signor Beethoven presenta una nuova sinfonia? Andiamo a sentirla? E’ un tipo originale, probabilmente ci divertiremo!”.

Sembra davvero una favola, specie se confrontiamo il pubblico di allora, che voleva divertirsi, che durante l’esecuzione esclamava, “bravo, bello!”. Oppure, “Ma no, non è possibile far così!”. Ecco, se paragoniamo quel pubblico con quello di oggi, che partecipa in religioso silenzio a questo rito di sacralità laica che si chiama “concerto di musica classica”, ci accorgiamo allora che qualcosa forse è andata per il verso sbagliato. Dico così perché spesso la musica dei grandi autori del passato contiene elementi umoristici, ma in sala non ride mai nessuno, forse tutti pensano che a un concerto di musica “seria”, sarebbe sconveniente. Ma la vera profanazione è probabilmente il non farlo.

Imporre una maschera di ferro, di assoluta serietà, a musicisti che non erano seri 24 ore su 24 non è forse il modo migliore di onorare la loro arte e il loro spirito. A volte i concerti in cui si presentano musiche allegre e sbarazzine di Vivaldi o burberamente spiritose di Beethoven mi danno un imbarazzo simile a quello degli spettacoli di varietà in cui il comico di turno dice una barzelletta, e però… non ride nessuno.

Non è necessario che insista. Mi avete capito. Mi sarebbe piaciuto davvero vivere all‘epoca in cui la musica classica non si chiamava “musica classica”!

[di Marcello Sorce Keller, da: aasp.it]

PS – Questo post è stato ispirato dal concerto al quale ho assistito ieri sera a Roma. Confesso che durante un movimento della suite di Bernstein (fantastica peraltro l’esecuzione del direttore Andrew Grams) ho avuto un irrefrenabile impulso alla risata (che comunque ho disciplinatamente contenuto).

E’ evidente che concordo con quanto riportato qui sopra, e sono piuttosto infastidito anche io dall’atmosfera troppo spesso innaturalmente funerea che pare dover caratterizzare i concerti di musica classica. Per fortuna ieri c’era anche l’immenso talento di un Stefano Bollani in rigorosa… camicia rossa fuori dai pantaloni e chioma riccioluta raccolta in un asimmetrico codino! Dopo la “Rhapsody in blue”, ha deliziato con “bis” di brani brasiliani (eseguiti all’interno di un… New York Concert!) e divertentissime e virtuose improvvisazioni che hanno finalmente liberato risate ed applausi, altrimenti incatenati nell’incomprensibile galateo da “musica classica”. E anche Bach, Mozart e Beethoven a quel punto hanno certamente sorriso. Ed applaudito.

[Max]

  • Vero! In effetti, almeno io l’ho sempre pensato, ascoltare musica classica con aria mortalmente seria la rende, agli occhi (o alle orecchie) di chi non l’apprezza, noiosa più di quanto si creda. Tra l’altro molti dei capolavori di musica classica non sono affatto “seri” 🙂

  • C’ero anch’io a quel concerto ieri sera, e ho visto anche due spettatori alzarsi e andare via sdegnati dopo l’esibizione sbarazzina e irriverente di Bollani, che appunto se ne frega del “galateo” della musica classica e anzi rivendica in modo quasi sfacciato la sua “estraneità” a quel contesto, ma evidentemente poiché il concerto era all’interno di Santa Cecilia c’è sempre qualche vecchio abbonato che brontola, e forse è anche giusto così…;-)

    P.S. non nascondo che durante i 40 minuti della sinfonia di Dvorak ho avuto qualche colpo di sonno…:-))

  • Concordo pienamente!
    Ricordo che quando andavo a scuola di musica per il flauto, era “d’obbligo” ai concerti e ai saggi vestirsi di nero e comunque classico-elegante. Odiavo i saggi… già mi vergognavo a suonare in pubbligo, poi il patema di dover essere imbalsamati… alla fine andavo vestita come tutti i giorni, con grande stizza della mia insegnante. Alzavo il leggio fino all’altezza del viso così non vedevo la gente in sala, e suonavo leggermente più tranquilla.

  • a Beethoven… l’insalata….a Vivaldi l’uva passa che mi da più calorie….F. Battiato

  • Alex, anche io avevo dietro di me due “snobbini” che hanno mostrato palese insofferenza per gli applausi dopo un movimento della sinfonia di Dvorak. E’ la loro una sorta di liturgia spocchiosa e di nicchia, e che muove reazioni del tipo: “noi sappiamo apprezzare e comprendere, loro, poverelli, no…”. Il paradosso è che hanno borbottato “ignoranti!”, quando sono invece proprio loro a totalmente ignorare come erano i concerti di musica classica ai tempi di Bach, Mozart e Beethoven… ;o)

    PS – Disse a tal proposito Umberto Eco:

    «Ero alla Scala, ascoltavo una sinfonia di Beethoven. Alla fine del primo movimento si è levato qualche applauso, subito zittito dalla maggioranza dei presenti, dai quali si sono levati sguardi maligni verso i reprobi che avevano osato tanto. Il rito, stabilito non so da chi, prevede infatti che si applauda alla fine dell’intera esecuzione, e non tra un movimento e l’altro. Ora, ciò presuppone che si conosca ciò che si va ad ascoltare. Quindi, il poveretto che non ha mai ascoltato Beethoven non avrebbe diritto di sedere in sala perché applaude nel momento sbagliato. Se rito deve essere, allora mettete dei cartelli che dicano quando applaudire. E comunque, che male c’è se al poveretto quella musica è piaciuta così tanto da fargli venir voglia di applaudire quando, non si sa perché, non si dovrebbe?».

  • a Max, con grandissimo rispetto, vorrei dire che la mia è stata una battuta… accia… da domenica pomeriggio… lo snobismo non mi appartiene anche se amo profondamente Battiato, e la mia ignoranza è si grande…
    “Il diavolo non è il principe della materia, è la fede senza sorriso è la verità che non viene mai presa dal dubbio”(?) (II libro poetica di Aristotele)
    Il nome della rosa Umberto Eco

    nota di Max:
    ma era ottima la tua battuta, invece, osmida! Proprio nel senso di non predersi troppo sul serio, e quindi decisamente poco “snob”. Un saluto!

  • Ciao a tutti !! Scusate se scrivo queste righe in uno spazio non consono a questo argomento, ma volevo raccontarvi un’esperienza meravigliosa che sto vivendo in questi giorni.In queste settimane estive sto facendo un servizio di volontariato, nella mia parrocchia,con i bambini dai 6 ai 9 anni; così tra incertezze e mie perplessità ho scoperto un mondo nuovo, dove un pò di pasta è una collana di diamanti e dove batsano un mucchio di sassolini per comprare una casa..! Stando a contatto con i bambini si può impararare veramente tanto, loro ti insegnano come reagire davanti alle cose che ci fanno paura , a non nasconderci quando vediamo qualcosa di “diverso”. La cosa peggiore è che molte volte i bambini non sono ascoltati nè dalla società, che li tratta con superficialità , nè tantomeno dalla famiglia che , spesso, li vivie come un peso e non li fornisce di una giusta educazione. Vi scrivo esausta dopo una lunga giornata di giochi a tema e momenti di riflessione spirituale collettiva, ma ho riscoperto il sapore del tempo. Tutto questo è grazie ai “piccolini” del “San Giuda Taddeo”,e ai miei inseparabili compagni di viaggio , che mi hanno accolto con un sorriso quando ero INVISIBILE..
    Un bacio Micòl

  • Bellissimo spunto il brano postato da Max. Decisamente concordo,pensando che forse la mia quasi totale ignoranza circa la musica classica viene da li’, dal preconcetto alla fine ben concimato da tante esecuzioni, che quel “classico” sia sinonimo di noioso per l’apparente carenza di elementi “irregolari”, cioe’ fuori dai canoni ricosciuti o (diciamo slegati che ci capiamo prima!) che dunque suscitano ilarita’ o emozioni non lineari.
    Ma quella musica e’ nata in e per un mondo dove la manichea scissione tra ALTO e BASSO, aulico e popolare era ancora abissale, forse in un modo che noi oggi non riusciamo neppure a comprendere. Viasto che viviamo gia’ da un po’ nell’era della cossiddetta “contaminazione”, dello sconfinamento culturale, oltreche’ geografico, etnico, di pensiero. E meno male che a un certo punto questo e’ successo, secondo me. Poi c’e’ chi grida al rischio Babele, ma a ben vedere e’ chi prima si collocava nell’Alto, piu’ che nel BASSO.
    Tra l’altro, inutile dirlo, Simone e’ un artista emblematico di questa situazione. Ne approffitto ora per dire cio’ che pensavo da tempo, seguendo da questo sito le tappe dei suoi SalottoLives. Potrebbe essere anche questa una moda e non ne e’ di sicuro lui l’ideatore o il primo esecutore, ma c’e’ una foto la sotto in un post, il cespuglio con la sua aria un po’ stralunata, ma mai mai assente, che posa accanto a quella lampada da salotto buono, tra i segni arredativi di cio’ che per tanto tempo era il luogo chiuso ed elitario della cultura per eccellenza, quella ALTA appunto. Ma gia’ da allora (dal Settecento) era comunque gia’ un alternativa all’altro luogo ufficiale, l’accademia. Se in qualche modo le idee giravano, anche su se stesse e un pochino camminavano – pur sempre in un ambito di persone ristretto -era in quei salotti, su quelle poltone e sotto la luce di quelle lampade, in architetture che oggi eleggiamo a luohi della memoria e di un passato gusto estetico. E che come altri Simone ha pensato di eleggere come teatro delle sue idee slegate e sempre in corsa, che fanno datrait d’union tra tutto quello che nelle sue opere c’e’ di memoria, di storia passata e qualcosa che forse ancora deve prender forma. Pero’ la piazza, l’agora’, il Basso che oggi e’ contiguo adesso entra con lui e con altri in quel salotto; perche’ lui e altri han preferito recitare con le finestre ben spalancate.
    Ha fatto un fischio a noi gente, cantando della sua rosa e di quel volo drammatico e per tanto tempo parte di un taciuto.
    In molti hanno risposto e qualunque piega prendere il viaggio di quelle idee, ma soprattutto l’eco di quelle memorie, secondo me nelle vite di alcuni, non importa se tanti o molti, qualcosa avra’ per sempre cambiato.

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