Dalla Gazzetta di Parma del 28 febbraio 2012


SOLDATI E SOFFERENZA, QUELLE TRAGEDIE DA NON DIMENTICARE.
Simone Cristicchi racconta le storie vere di chi visse gli orrori del secondo conflitto mondiale.
di Rita Guidi

Non tutto ciò che finisce, si conclude veramente. Il male lascia un’ombra indelebile dove ha sottratto luce alla speranza, ucciso insieme ai corpi ogni traccia di umanità. In guerra, per esempio. Durante la Seconda Guerra Mondiale, per esempio.
Emblema triste e assoluto della sconfitta dell’uomo, aldilà di ogni bandiera. A testimoniarlo di nuovo, ma con forza nuova, è Simone Cristicchi – cantautore, ma anche autore di razza (con «Centro di igiene mentale» ha firmato un notevole esordio) – con questo suo ultimo «Mio nonno è morto in guerra» (Mondadori, 180 pagg., 16 euro).
Straordinario taccuino di memorie, dove il vissuto personale diventa l’unica prospettiva importante, verità essenziale contro vaghe pagine di storia. «I fatti del 25 luglio o la liberazione di Roma, si possono anche dimenticare, così come la liberazione o lo sbarco in
Normandia – scrive provocatoriamente Gianni Oliva nella toccante prefazione – Ma non si può dimenticare la guerra; non si possono dimenticare le logiche che l’hanno determinata; non si possono dimenticare i lutti, le paure». Non si può e non si deve dimenticare quanto ha significato e quanto significa il sacrificio di una vita, di ogni vita. Ecco allora questo coro di voci da un passato che non è mai passato, e che vuole sconfiggere l’ennesima ingiustizia: del silenzio, dell’oblio.
Cristicchi dichiara nella sua premessa la necessità di colmare questo silenzio, la felicità di attingere al patrimonio inestimabile delle parole degli anziani, il desiderio che i bambini ricordino a scuola, oltre a matematica o geografia, la storia dei propri nonni.
Imparerebbero un mondo finito ma mai perduto, sospeso tra monito e memoria, ricordi e necessità.
Scoprirebbero che il freddo che provano i vecchi a volte viene da lontano: da una ritirata di Russia a 48 gradi sottozero, dove sai che l’amico che si ferma lo farà per sempre, e cammini verso un futuro segnato, comunque.
Quanti ragazzi, quante donne, quanti bambini, quante illusioni tradite in queste voci, alle quali non manca nemmeno la battuta scherzosa, l’ironia amara e sorridente: occhi che rivivono
e raccontano, nonostante la sofferenza e l’orrore vissuto (e mai dimenticato).
Ogni nome, due pagine e un grande racconto.
La loro guerra davvero: corpi sventrati, bombardamenti devastanti, macerie e cadaveri, senza bandiera e senza nome. C’è la mamma dai «superpoteri» che scava a mani nude e abbraccia e salva i suoi bambini sepolti; c’è la paura e la fame, e l’umanità inattesa (un soldato, un tedesco) di chi salva una vita; gli orrori di Fossoli o la strage dei minatori a Niccoletta; ma anche la devastante fuga dall’Istria o la brutalità di una brigata partigiana…
Perché, qui, non importa se quei ragazzini uccisi a fucilate e sepolti in fretta, sono partigiani o tedeschi; importa che lì, ora, l’erba cresce più alta. Come a dirci guardate, ascoltate, ricordate.
«Cessate di uccidere i morti».
Lo diceva il poeta. Lo dicono queste pagine. Questo straordinario romanzo vero di Cristicchi. Ascoltiamolo; ascoltiamoli. Per (ri)costruire, per sconfiggere ogni ingiustizia, per vincere davvero, per cambiare.
«Per non continuare a morire ogni giorno in questa finta pace».

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