Fuori tutti dal San Salvi.

Da LA NAZIONE – FIRENZE del 24/09/2011

FUORI TUTTI
Sfratto delle Civette a San Salvi. I pazienti in lacrime
«Qui da decenni, non mandateci via». Licenziati i 70 dipendenti

Pazienti in lacrime: “Dove ci mettete?”
Giuliana, Roberto, Rosa si stringono impauriti: «Siamo qui insieme, da una vita»

L’INTERVENTO
di SIMONE CRISTICCHI
VI REGALERO’ UNA ROSA. PER RICOMINCIARE

Sono molto affezionato a San Salvi perché ho vissuto a lungo a Firenze e conosco bene quella realtà. Anche perché ho fatto un lavoro importante sugli ex manicomi, che ha caratterizzato un lungo periodo della mia carriera. Ai pazienti ho dedicato la canzone ‘Ti regalerò una rosa’ con cui ho vinto Sanremo 2007.
L’archivio storico verrà salvato. Strano: si salvano gli archivi ma non le persone che hanno fatto la storia di quel luogo. E’ davvero triste la vicenda della chiusura de “Le Civette”. Triste e in un certo senso anche violenta perché arrivata all’ improvviso. Non esagero se parlo di una disgrazia per queste persone, una disgrazia che per molte di loro si somma a quella che la vita gli ha già riservato con una brutta malattia o con problemi mentali molto gravi. Ho trascorso molto tempo a San Salvi e mi sono accorto che là dentro c’è umanità, c’è vita vera. Ci sono persone spesso sole che però con il tempo trovano una nuova famiglia, creano una rete di affetti importante. Ora per alcuni di loro sarà necessario ricominciare da capo. Non sarà facile. Immagino ci saranno delle proteste simboliche e se fosse possibile mi piacerebbe parteciparvi. Adesso me ne andrò dall’Italia per qualche settimana, ma se ci fosse l’occasione verrei di corsa a Firenze per testimoniare la mia solidarietà alla comunità di San Salvi. A volte mi sento in imbarazzo a parlare di questi argomenti, a parlare di persone che hanno vissuto per anni in luoghi così particolari. Nel mio piccolo, per il momento, posso soltanto inviare loro il mio saluto sincero. Spero che, dovunque finiscano, riescano a trovare la serenità che meritano e che si sono conquistati nella vita.

L’ARTICOLO di EMANUELE BALDI

«SIGNORINA, i’cchè ci fanno? Dove si va?». Giuliana ha 82 anni, il golfino sulle spalle perché fa già fresco, due occhi limpidissimi. Lucidi. Piange sulla sua carrozzina e muove la mano in avanti quasi a cercare di disegnare un futuro che non c’è. Roberto di anni ne ha 72, è a San Salvi da 45, quando
questo era ancora un manicomio con la m grande. Da prima della
legge Basaglia, da prima del ’68.
Ha vissuto qui una vita intera, ovattato nel manto verde del parco, tra la ferrovia, che da quaggiù sembra un sussurro, e il traffico schizofrenico del Campo di Marte. Sorride e ci chiede: «Dove ci mettete? Che ce lo trovate un posticino?». Ha fatto il partigiano Roberto e un tempo andava sempre a ballare. «So cantare anche, c’ho una voce bellissima. Canto
sempre Morandi, o Claudio Villa. Delle volte anche Celentano. Volete sentire Azzurro?…». E attacca a sussurrare la sua canzone mentre tiene per la mano la sua ‘fidanzata’, una signora di 57 anni che sta sempre con lui. «La faccio
anche a novembre questa canzone, quando si fa la festa. Venite anche voi, si fa una bella grigliata».
No, a novembre non ci sarà nessuna festa. Perché semplicemente
non ci sarà più il centro «Le Civette», fiore all’occhiello delle Rsa fiorentine e rinomato centro diurno per i malati di Alzheimer.

AI SETTANTA dipendenti della struttura, ieri, è arrivata la lettera di licenziamento. Tra un mese se ne andranno a casa e loro, gli «ospiti», i «nostri nonni bambini» saranno sparpagliati nelle varie Rsa della città. Il coro dei Lavoratori, fisioterapisti, animatori, addetti alle pulizie e operatori sociosanitari, è compatto e amareggiato: «Da un giorno all’altro ci sbattono per la strada. L’Asl dice che ci
troverà un altro impiego, ma dove? E soprattutto quando? E che ne sarà di queste persone? Per loro andarsene da qui significa morire. Sono uomini e donne completamente soli, alle Civette in questi anni sono diventati una famiglia. Come si fa a portare gente di 95 anni in un posto nuovo?».

ROSA è minuta e dolcissima. Stringe la mano a tutti spalancandogli occhi. Tra poco compirà un secolo: «Qui ci si vuole tutti bene, ma non si può far nulla per rimanere insieme?». Le operatrici non sanno che dire. I parenti dei pazienti invece non hanno peli sulla lingua: «E’ uno schifo, mia madre non può più parlare ma qui la vedo serena. Ha lavorato una vita e pagato le tasse per ritrovarsi a 86
anni sbatacchiata da una struttura all’altra. Perché questi signori non si vanno a prendere gli spazi occupati da quei cialtroni dei punkabbestia che hanno le famiglie ricche e occupano i palazzi di San Salvi con la luce accesa grazie
alla corrente che gli paghiamo noi?».
Walter sta affacciato alla finestra con lo sguardo buio, Rosa sorride placida, Ornella stringe la mano della figlia che è venuta a trovarla. Dino spinge la sua carrozzella: «Se mi vogliono portare via di qui mi devono prendere di forza. Perché io mi lego a quell’ albero».
Intanto Roberto continua a correre nel suo magico mondo. Mentre ce ne andiamo ci chiede di portarlo al bar per comprare un biglietto della lotteria. Intanto canticchia «Volare» di Modugno che sembra l’ultima canzone di San Salvi.

  • concordo con tutto tranne che per il fatto che si salvino gli archivi, che invece a quanto pare, se non sono stati in questi mesi “salvati” sono anch’essi in pericolo ed in ogni caso sono anch’essi importanti ed essenziali.
    L’anno scorso c’è stato un dibattito anche su questo tema, la memoria, che è “ricerca di senso” come ha ben spiegato lo psichiatra e docente Prof. P. Lorenzi dell’AOU Careggi di Firenze – docente a contratto dell’Univ. di Firenze in un articolo dell’estate scorsa.
    L.

    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/08/22/il-senso-di-un-percorso.html

  • Che amarezza venire a conoscenza di queste cose. San Salvi era “un’ isola felice in un mare di dolore”,la cosa piu’ ingiusta poi e’ che questi sgomberi vengono operati da un giorno all’ altro senza che le persone possano organizzarsi,avere il tempo di valutare…condivido quello che dice Simone e’ una violenza fatta cosi’. E’ pur vero che ci sono altri luoghi,altre strutture. Altri appunto.

    Lucia.

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